Fante Antonio BELLO

di Vittorio

277° Rgt.-  Ccr  “Compagnia Comando di Reggimento”

nato a Monastier – TV 13.06.1921

Disperso il 21.1.43 in località non nota   


nota: 

Stefano Gambarotto è un pubblicista e divulgatore in campo storico molto conosciuto soprattutto nella provincia di Treviso con all’attivo numerose pubblicazioni. Attualmente è il Conservatore del Museo della Battaglia di Vittorio Veneto (TV).

Con Stefano negli anni ho avuto modo di collaborare in alcuni suoi progetti sia in ambito di pubblicazioni che per la realizzazione di mostre. L’averlo conosciuto è stata decisamente una fortuna soprattutto per tutte le conoscenze che con molto garbo è  riuscito a trasferirmi e per i preziosi consigli che mi ha sempre offerto per migliorare il mio metodo di ricerca e la divulgazione dei risultati.

Proprio nel merito della Divisione Vicenza Stefano aveva raccolto, grazie alla donazione di una famiglia, il prezioso fondo di corrispondenze prodotte da un Fante del 277° Reggimento, Antonio Bello, poi disperso nel gennaio 1943 durante le fasi del ripiegamento del Corpo d’ Armata Alpino dal Don. Questo fondo è conservato nell’archivio del Museo della Battaglia di Vittorio Veneto di cui Stefano è appunto il Conservatore.

Dalla trascrizione della corrispondenza e dall’analisi particolarmente analitica dei contenuti, Stefano ci ha riportato una bellissima ricostruzione degli stati d’animo di Antonio Bello e ti tutto ciò accadeva attorno a lui dal viaggio per i territori dichiarati in zona di guerra alla permanenza in Ucraina ed infine al presidio del fronte sul Don.

Questo elaborato, grazie alla particolare capacità descrittiva di Stefano, ritengo che sia la storia     dai contenuti più avvincenti che ci siano stati dati per la memoria della Divisione Vicenza, pertanto è doveroso un ringraziamento per averci concesso la pubblicazione nel nostro SITO.


Classe 1922: Antonio Bello in Russia con la divisione «Vicenza»

Il soldato Antonio Bello, classe 1922, è un trevigiano nativo di Monastier. Il 14 marzo del 1942 è in servizio presso la Compagnia Comando Reggimentale del 277° Fanteria «Vicenza». Si trova in provincia di Udine ed è una giovane recluta da poco chiamata alle armi. I suoi problemi al momento sono ancora quelli di rimandare a casa la «roba borghese» perché a breve, scrive, «si andrà a Brescia» dove 4 giorni prima è stata ricostituita la divisione che porta lo stesso nome del suo reggimento. La divisione Vicenza è la classica unità di seconda linea. E' stata messa insieme in tempi molto rapidi e senza andare troppo per il sottile.

Oltre ad avere un equipaggiamento e un armamento non adeguati alla zona nella quale dovrà operare, essa è anche formata da elementi eterogenei: richiamati e soprattutto reclute alle prime armi come Antonio Bello.  L'addestramento è approssimativo. Antonio, nei primi giorni che trascorre in caserma, sta ancora ottemperando a tutte le formalità burocratiche e mediche cui tutti sono sottoposti: «Martedì ci faranno la IIª iniezione - scrive, - un po' più forte della prima, ma spero che non mi faccia tanto male». La permanenza a Brescia durerà fino a ottobre. La divisione «Vicenza» è destinata al fronte russo è Antonio lo sa. E' preoccupato come lo sono i suoi familiari. Il 4 ottobre scrive alla sorella per rassicurarla: «Come ti ho detto, parto domani sera verso l'una di notte. Ho [però] una buona notizia fresca fresca: sembra che per tutto l'inverno ci fermiamo a Varsavia nella ex Polonia. Se fosse veramente così sarebbe una bella cosa. L'informazione purtroppo non ha fondamento. E' una delle tante false voci che prendono vita fra i soldati, forse fatte circolare ad arte e che Antonio comunica in una seconda lettera anche alla madre: «Sembra che ci fermeremo per tutto l'inverno a Varsavia - ripete - per poi raggiungere la Russia solo in primavera». Antonio scopre la Russia Anche lui come gli altri non conosce nulla dell'Unione Sovietica e del bolscevismo. Ha venti anni e sa solo quello che gli racconta la propaganda e cioè che i russi sono gente «che non vuol sapere di Dio». Il regime dice che laggiù la campagna militare sta andando secondo i piani e Antonio, come tutti i suoi compagni ci crede. «Io non ho bisogno di niente per ora – scrive; - il morale è alto e parto volentieri con tutti i miei compagni». Il 7 ottobre spedisce una nuova cartolina ai familiari: «siamo di passaggio per Vienna, grande e bella città, la città dei valzer di Strauss. Il viaggio prosegue bene. Ormai mi sono abituato a dormire anche con il fracasso del treno…» Qualche giorno più tardi il fante trevigiano e suoi compagni scoprono che non sverneranno a Varsavia come avevano sperato. E' il 10 ottobre e Antonio scrive di nuovo alla madre. Ormai è già in Ucraina: «Oggi sono a Leopoli. Il viaggio prosegue sempre. Ieri è piovuto e ho dovuto mettere la maglia di lana e anche le mutande grosse: così sto meglio. La salute è buona […]. Non si sa ancora precisamente dove andremo, ma [si dice che] abbiamo ancora una decina di giorni [di viaggio da fare]. Ora Antonio e i suoi compagni corrono verso l'ignoto. Non hanno più certezze sul destino che li attende. A migliaia di chilometri da casa, per la prima volta il giovane conclude la sua lettera con la frase «E che Dio ce la mandi buona…». Eccola dunque la Russia, per come appare dal treno in corsa. E' il 13 ottobre e Antonio scrive: «Oggi siamo a Kiev, la capitale dell'Ucraina. Tutto va benissimo. Nel nostro carro (bestiame) abbiamo acceso due stufe, che ci riparano bene dai primi freddi. Abbiamo attraversato immense distese senza case, con qualche capanna abitata da gente poverissima, stracciona, che francamente non si sa di cosa viva». Sarebbero questi dunque i feroci bolscevichi, sembra chiedersi il fante che conclude il suo scritto dicendo: «oggi ho finito il pane biscotto che negli ultimi giorni era diventato come il panettone…». Il 18 ottobre il viaggio è finalmente terminato e Antonio ne da comunicazione alla famiglia. La divisione Vicenza verrà dispersa in piccoli distaccamenti nelle retrovie dell'ARMIR, compresi tra il i fiumi Donetz e Ostkol. Le vengono affidati compiti di sorveglianza e protezione.

La guerra nelle retrovie

Antonio Bello ha scritto quasi ogni giorno ma alcune delle sue lettere non sono arrivate in Italia. Di questo si lamenta con la madre nella missiva del 18 ottobre. «Oggi il colonnello [Giulio Cesare Salvi] ci ha riuniti e ci ha detto che per tutto questo inverno saremo posizionati in piccoli gruppi e dovremo fare la guardia alle ferrovie, ai ponti ecc. Resteremo quindi isolati per parecchi mesi nell'immensa pianura russa e vedremo di organizzarci come meglio si potrà». La buona notizia per lui è che si possono ricevere pacchi da casa «che arrivano con una certa celerità, basta che siano ben fatti e che non contengano roba da mangiare». Accanto a richieste semplici, come l'invio di tabacco («qualche pacchetto di trinciato forte») e delle relative cartine per poterlo fumare e che l'esercito sembra non passare, ci sono anche quelle tese a arricchire il proprio corredo con capi necessari a combattere i rigori dell'inverno sovietico.

Scrive Antonio alla madre: «Puoi pregare Checchi che ti dia il suo passa-montagna che non abbiamo. Per le maglie sono a posto ma mandami qualche scatoletta di vaselina per la pelle del viso… […] Non preoccuparti per me, che la vita qui è dura ma ho 20 anni e spero poter tutto sopportare. Oggi è il giorno della sagra di Monastier. Qui piove a dirotto; spero che laggiù il tempo sia migliore». In un'altra lettera alla sorella chiede che aiuti la madre a confezionare il pacco raccomandandosi per il tabacco e le cartine, «che con il freddo sono quasi indispensabili le sigarette, dato anche che dovrò fare delle lunghe ore di guardia in mezzo alla neve». Poi domanda notizie del paese di Monastier e chiede anche di «incartare la roba che metti nel pacco con un giornale recente invece che con altra carta, così avrò qualche notizia politica che qui non si sa niente completamente».

Lontano dall'Italia

La lontananza dall'Italia comincia a farsi sentire e l'isolamento è totale. A fine novembre la sua compagnia è sistemata «in un paese assai grosso» di cui Antonio non scrive il nome. Dice di non stare male e spera di poter tornare a casa almeno per il natale dell'anno successivo. Un auspicio che ribadirà in un'altra lettera alla famiglia spedita a fine ottobre nella quale racconta di essere alloggiato «in modo definitivo […] in una bella stanza con doppi vetri e due stufe e qui staremo fissi. Dicono che se non sopravvengono delle novità in quest'altr'anno a quest'ora saremo in Italia. Sicché il natale del '43 forse lo passerò a casa. Spero mi abbiate spedito il pacco perché ho bisogno urgente di ciò che vi ho chiesto. Ieri mi sono liberato di parecchi pidocchi presi durante il viaggio. Figuratevi che ho fatto il bagno in un fiume, poi ho fatto bollire la roba infetta; ora sto meglio. Il giorno 21 abbiamo visto la prima neve…» La sua situazione non è cattiva. Nella posta inviata a casa continua chiedere ai parenti di spedirgli lamette da barba, sapone, carta da lettere e inchiostro ma soprattutto sigarette.

Scrive il primo novembre 1942 alla sorella: «…la cosa che più si desidera sono sempre le sigarette. Non credere che non ce ne diano; ce ne danno 5 al giorno, e nazionali, che qualche volta hanno anche la muffa, ma si fumano volentieri e in due orette spariscono tutte e cinque».

In mezzo al nulla

Quando è fuori servizio Antonio alloggia in una località della quale ancora non sa il nome. «Veramente non so neanche io dove precisamente si sia. È un paesotto grosso che chiamano città, in mezzo a una conca, riparato dai venti, potrà avere 4 o 5 mila abitanti. Siamo alloggiati in una casa abbastanza bella e ci sono delle stufe. Siamo lontani dal fronte più di 400 chilometri, quindi non c'è alcun pericolo. Qui passerò tutto l'inverno e forse anche più giacché siamo di presidio. La popolazione è calmissima ed anzi in teatro durante la settimana danno degli spettacoli di varietà con artisti ucraini e spettacoli cinematografici in tedesco però! Non si capisce un’acca, ma il senso lo si capisce lo stesso. In complesso non si sta male solo che non si trova niente […] e quello che più secca [non si trovano] le sigarette». Alla fine di novembre sembra che qualcosa di nuovo stia per accadere. Il giorno 23 il giovane fante trevigiano scrive alla madre. Non può saperlo ma mancano ormai poco più di tre settimane all'offensiva sovietica che sbriciolerà la resistenza italiana. «La neve è caduta per due giorni e due notti di seguito – si legge nella sua lettera – e ormai fino ad aprile ho paura che non se ne andrà. […] Fra qualche giorno e forse in settimana si partirà da questo paese, non si sa dove si andrà di preciso ma ho paura che si vada al fronte. Ad ogni modo appena saprò qualcosa di preciso ti scriverò subito: si parla di quattro o cinque giorni di viaggio… […] Fra poco si andrà a far le schioppettate: spero che tutto vada bene e portar a casa la pellaccia».

Zona di guerra

Il 29 novembre Antonio è in zona d'operazioni. Per il momento la sua Compagnia (Compagnia Comando del 277° Reggimento) si occupa di contrastare la resistenza. Scrive alla madre: «… son dovuto a andare a scovare dei partigiani improvvisamente con alcuni miei compagni. Ieri sera siamo tornati dopo aver fatto il nostro compito. […] Il freddo comincia a farsi sentire un po' più forte e il passa-montagna che mi hai mandato mi serve a meraviglia». La divisione Vicenza gravita ora nell'area di Rossoch. Gli scontri con le forze partigiane sono continui. Solo cinque giorni prima, nella notte sul 24 novembre, il reggimento di Antonio ha perduto 26 uomini e 3 ufficiali appartenenti alla 9ª compagnia del III Battaglione, 19 dei quali morti nella località di Gujana Balka. Il giovane però non lo dice ai familiari. Alla sorella scrive che «ogni tanto c'è qualche sparatoria coi signori partigiani […] che ci rompono le scatole: [noi però] abbiamo buone armi e le teniamo a dovere». Con la madre si lamenta di non poterle scrivere quanto vorrebbe perché «siamo in pochi e siamo quasi sempre di servizio, giorno e notte. Ronda, pattuglia, rastrellamento, guardia, ecc.»

La lettera successiva Antonio Bello la spedisce il 5 dicembre, una manciata di giorni prima del grande attacco sovietico. Ormai il ragazzo è completamente dentro la guerra, nel gelo dell'inverno sovietico. Scrive da un'isba persa nella steppa: «ci sono due sposi con un bambino e la suocera. […] Ci hanno offerto del latte caldo che da parecchio tempo non ne bevevo e del purè di patate. Non va così tutti i giorni… […]. Siamo in marcia verso il fronte da 4 giorni ma dicono che staremo meglio di qui, avremo degli accantonamenti riscaldati. Tutto preparato durante l'estate da quelli che ci hanno preceduto. Qui si vede ancora di più che è passata la guerra. Gente povera che vive sei mesi all'anno chiusa in casa. Figurati che stamani stavano ancora trebbiando il grano in una fattoria con un metodo ancora primitivo che faceva ridere. Cara mamma, stando in Italia non si comprende la bellezza della nostra terra; queste immense distese di neve e queste casette meschine ce la fanno ricordare. […] Ieri avevamo 20 gradi sotto zero, oggi si stà un po' meglio ma ci saranno circa 40 cm. di neve che non se ne andrà via che fra quattro mesi. Ogni tanto si fa in compagnia qualche bella risata, ogni tanto da solo mi viene da piangere…».

Sulle rive del Don

Il 19 dicembre 1942 la divisione Vicenza è ormai in linea sul Don. Ai primi di dicembre era stata trasferita alle dipendenze del Corpo d'Armata Alpino, sempre come unità di seconda linea. Adesso però i comandi italiani sono stati costretti a schierarla lungo il grande fiume in sostituzione della Julia che, a sua volta, è dovuta accorrere nel settore della Cosseria nel vano tentativo di arginare lo sfondamento russo. Il fante Antonio Bello scrive al fratello Luigi, che sperava ormai essere stato esonerato dal servizio e rimandato a casa. Invece, con sorpresa, lo trova ancora sotto le armi e promosso al grado di sergente. L'offensiva sovietica che causerà l’apocalittica ritirata delle truppe italiane è in pieno corso ma il giovane fante non pare averne consapevolezza. «Luigi carissimo – scrive […] mi congratulo per la promozione. […] Di me non saprei che dirti. Qui tuona il cannone e fischiano le pallottole e gli aeroplani svolazzano per il cielo. […] Siamo a 32 gradi sotto zero. Da qualche settimana [...] siamo sul Don come tutti i nostri camerati. Nonostante tutto il morale è abbastanza alto e spero che tutto vada per il meglio… […] Il Natale lo passerò in piena guerra ma il fante non trema». Antonio Bello cerca sempre di essere rassicurante con tutti, di non angustiare i familiari con notizie preoccupanti. La sua ultima lettera dalla Russia è datata 31 dicembre 1942. «Da dieci giorni abbiamo delle belle giornate di sole. Si è sempre a circa 30 gradi sotto zero, ma almeno rivediamo il sole. Non il nostro sole, ma un sole pallido che dura poche ore. Ieri ci hanno dato dei bei cappotti con il pelo di pecora interno e non si sente tanto il freddo. Noi poi facciamo un servizio per niente pesante. Si girà un po' per il paese e si da la caccia ai paracadutisti e ai partigiani. Da qualche giorno abbiamo qualche uccellaccio americano che ogni tanto ci fa cadere qualche bomba o qualche spezzone incendiario e ci tiene sveglio alla notte causa anche il chiaro di luna. […] Qui ci sono pure gli Alpini e ogni tanto andiamo da loro a rialzare il morale: loro sono vecchi e hanno già fatto la guerra e la sanno più lunga perciò di noi che siamo novellini. L'altra sera siamo tornati con qualche gallina… trovata in un pollaio e abbiamo così trascorso il natale abbastanza bene».

Il ripiegamento

Il giovane Antonio sembra continuare a non sapere che cosa sta accadendo. Il fronte sta per crollare.  Alle 11 del 17 gennaio 1943 arriva l'ordine di ripiegamento. Il Don deve essere abbandonato entro le 17.00 di quel giorno. La divisione Vicenza ripiegherà con gli Alpini come retroguardia della Tridentina e della Cuneense. I russi non contrastano la manovra. Il I Battaglione del 277° fanteria – il reggimento cui Antonio Bello appartiene - è stato distrutto nella difesa di Rossoch, mentre il III°, agli ordini del capitano Gabriele Gherardini, è rimasto alle dipendenze della divisione Cuneense. La Vicenza raggiunge Samoilenkow il 19 gennaio. Con lei marciano circa 3000 uomini dei reparti di Corpo d'Armata. Non hanno viveri e sono praticamente disarmati. All'alba del 21 gennaio le colonne in ritirata superano Postojali e nella notte del 22 raggiungono Ljmarevka, dove i soldati della divisione italiana, dormono nelle isbe nelle quali, qualche ora prima, si sono fermati gli Alpini della Tridentina. Il pomeriggio del giorno dopo, tocca al 277° Reggimento andare in testa alla colonna al posto del 278°. Anch'esso dovrà fare da retroguardia alle colonne della Tridentina. La divisione alpina ha però un giorno di vantaggio sui fanti ed inoltre ha anche cambiato direzione di marcia. Il contatto viene quindi perduto. Ma il peggio deve ancora venire. Sono quasi le 23 quando le stanche e affamate colonne della Vicenza giungono in vista di Seljakino. Improvvisi emergono dal buio i massicci T34 sovietici contro i quali i soldati italiani non hanno alcuna arma di una qualche efficacia. La strage viene evitata dall'intervento di due Panzer tedeschi che fanno fuoco con proiettili incendiari dando alle fiamme alcune isbe. I tank russi divengono visibili e sono raggiunti dal tiro dei carri germanici. La Vicenza riesce così a superare Seljakino e a lasciarsi alle spalle la valle del fiume Kalitwa. Gli attacchi però non cessano e la colonna infine si fraziona i più parti. Una vallata nei pressi di Warvarowka si trasforma in trappola per in fanti del 278° Reggimento che vengono sopraffatti dai mezzi corazzati sovietici. La stessa Warvarowka poi, fra il 23 e il 24 gennaio è teatro di violenti combattimenti. La notte successiva, l'ultima del suo sfortunato tentativo di ritirata, la divisione Vicenza la trascorre a Bolschje-Lipjagj. Il 26 gennaio, la maggior parte dei suoi uomini verrà catturata assieme al comandante, Etelvoldo Pascolini, nei pressi di Valuijki. Il generale rientrerà dalla prigionia solo nel 1950.

La Divisione «Vicenza» e il destino di un fante

Gli ultimi fanti della Vicenza scampati alla cattura combatteranno a Nichitowka e Nikolajewka riuscendo ad uscire dalla sacca e a tornare a casa. Alla sua partenza dall'Italia la divisione era forte di quasi 9.000 uomini. In Russia ha perduto 240 Ufficiali e 6600 fra Sottufficiali e militari di truppa. Di fatto non esiste più e verrà sciolta il 15 maggio 1943. Con che scopi fosse stata creata la Vicenza, ben si capisce scorrendo le righe della motivazione in base alla quale al suo comandate, generale Pascolini, sarà conferita la medaglia d'oro al valor militare. In essa si legge che l'unità era stata «costituita per il solo presidio di territori nemici occupati, […] - e caratterizzata - da deficienze organiche e di armamento». Lo stesso generale Pascolini del resto, si era offerto volontario per prestare servizio in Russia, nonostante fosse – dopo aver combattuto in tre guerre – «mutilato ed assegnato al ruolo riassunti per i servizi in Patria». Le circostanze della guerra condussero poi in prima linea una grande unità fatta di reclute e richiamati che non avrebbe nemmeno dovuto avvicinarsi al fronte. Il fante Antonio Bello è un giovane soldato che non sa nulla del comunismo e dei bolscevichi. Anche negli ultimi giorni, non si rende conto degli avvenimenti che stanno sconvolgendo il fronte né del destino al quale sta marciando incontro. Continua a cullarsi nelle sue giovanili illusioni.

Il 31 dicembre 1942, nell'ultima lettera dalla steppa, chiede ancora sigarette, cartine, tabacco e carta da lettere. Scrive infine al fratello Francesco: «Se tutto va bene il prossimo autunno si dovrebbe essere in Italia, metti via perciò una piccola soppressa di quelle genuine, che credo Gino avrà fatto anche quest'anno. Quando sarò a casa la mangeremo assieme e così dimenticheremo tutti i brutti momenti passati qui in Russia».

 

Antonio Bello non farà mai ritorno in Italia. Diverrà uno dei tanti scomparsi, o come li hanno definiti, Dispersi, inghiottito anch'egli dal bianco oceano di neve e ghiaccio nel quale si perderanno le nostre colonne in ritirata.

 

Testo di Stefano Gambarotto

 


Nota del Comitato Divisione Vicenza

DELLA COMPAGNIA COMANDO REGGIMENTALE DEL 277° SIAMO RIUSCITI AD INDIVIDUARE ALCUNI UFFICIALI

Ten. Cpl. Renato FIRMO (da Brescia) che ne è stato il   Comandante. Venne Catturato il 27.1.1943 a 15 Chilometri da Valujki – Валуйки, ed è rientrato dopo la Prigionia nel Campo 160 di Susdal - Суздаль

S.Ten. Francesco FUNGONE (da Napoli), Catturato a Valujki – Валуйки, il 27.1.1943 e dichiarato disperso il 31.1.1943 in località non nota

Cap. Claudio FERRARI (da Modena), rientrato dopo la Ritirata

S.Ten. S.p.e. Marco TOCCO (da Palermo), Comandante di Plotone e poi dal 18.1.1943 di Compagnia. Trasferito al 90° Rgt. della Divisione Cosseria il 10.4.1943 come Comandante di Compagnia è stato rimpatriato in Italia dopo i fatti d’arme della Campagna di Russia il 16.6.1943


La storia del fante Antonio Bello è pubblicata nel volume 2° di una collana dedicata alla Campagna di Russia, Opera completa in 5 volumi, uscita in allegato ai quotidiani del gruppo Messaggero Veneto.

 

Stefano Gambarotto e Enzo Raffaelli, CAMPAGNA DI RUSSIA 1941-1943 Alpini e Fanti sul fronte di ghiaccio Volume secondo, L’ ARMIR: 8ᵃ Armata Italiana in Russia, Editrice Storica, Treviso, 2013

Antonio Bello è ricordato nel suo paese, sulla targa presente al Monumento ai Caduti di Monastier in Via Pralongo a Monastier di Treviso.


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