di Rosario e Maria Musmeci
277° Reggimento – Compagnia Cannoni reggimentale da 47/32
nato a Acireale - CT il 29.9.1914
Disperso il 31.1.1943 in località non nota
“per me il guadagno è se mi guadagno la vita”
L’ aver appreso dell’uscita del libro del Professor Antonio Leotta intitolato DISPERSO, (Tipografia Massimino, Acireale – CT -, 2022) dedicato alla storia del Fante Giuseppe Belfiore, è stato motivo di grande interesse, il perché è dovuto al fatto che Giuseppe Belfiore è appartenuto all’organico Divisione Vicenza, precisamente alla Compagnia Cannoni reggimentale da 47/32 del 277°. Con il professore vi è stato un bellissimo contatto anche dal punto di vista umano del quale ho riscontrato una profonda sensibilità alla memoria del Caduto al Fronte Russo della sua Acireale. Il libro poi mi ha fatto scoprire sia la società aciese che il carattere e la famiglia di Giuseppe Belfiore, figlio purtroppo del suo tempo.
Splendide le cartoline dalla Russia che commentate con il cuore racchiudono tutto il carattere di Giuseppe che con una semplicità disarmante comunica alla famiglia il suo stato d’animo e l’amore per i suoi cari.
Da questo non è potuto mancare un passaggio con la Professoressa Siriana Giannone Malavita di Modica (RG) con la quale condivido le esperienze soprattutto dei siciliani inquadrati nella Divisione Vicenza.
Siriana raccogliendo la storia narrata dal Professor Leotta ci ha donato un bellissimo racconto trasferendo per tutti con la sua esaustiva narrazione fatta con il cuore, gli aspetti ed i contenuti di quella cultura siciliana di cui sarebbe stato molto difficile coglierne il profondo sentimento.
Bellissima è la presentazione della canta di Natale dinnanzi al Presepe che Siriana ci propone e che ci fa comprendere la nostalgia del Fante siciliano per la propria terra e la famiglia che ebbe in quel terribile inverno al Fronte Russo dal quale non fece più ritorno alla sua casa di “Ccchianàta o Sòbbu”.
A nome del Comitato Divisione Vicenza ringraziamo i Professori siciliani Antonio Leotta e Siriana Giannone Malavita per la memoria del Fante Giuseppe Belfiore e per tutti i siciliani scomparsi in terra di Russia.
Prof. Antonio Leotta, DISPERSO, Tipografia Massimino, Acireale (CT), 2022
Prof. Siriana Giannone Malavita, Rivista DIALOGO, mensile di cultura, politica ed attualità, anno XLIX – numero di Gennaio 2024
Giuseppe Belfiore era nato in Sicilia ad Acireale in provincia di Catania (nella Frazione di Guardia) il 29 settembre 1914.
Frequentò la scuola elementare e lavorò nei terreni di proprietà della famiglia.
Dopo il servizio militare svolto nella Regia Aeronautica, aveva da poco compiuto 27 anni che venne nuovamente chiamato alle armi ed assegnato nel Regio Esercito all’86° Battaglione, 8^ Compagnia nella Città di Reggio Emilia.
Nell’aprile del 1942 venne trasferito da Reggio Emilia a Brescia per far parte del 277° Reggimento di Fanteria nella Compagnia Controcarro da 47/32. Detto Reggimento venne inserito nella rinnovata 156^ DIVISIONE “VICENZA” che venne anch’essa inviata in Russia.
Giuseppe Belfiore, dopo la partenza per la Russia, ha spedito cinque cartoline al cognato Antonio Patanè (sposato con la sorella di Giuseppe di nome Maria):
La prima cartolina è datata 11 ottobre 1942 e accenna alla prima parte del viaggio in terra di Russia per raggiungere il fronte di guerra.
L’ultima cartolina è datata 18 dicembre 1942. Giuseppe, dalle retrovie, non percepisce quello che sta avvenendo sulle rive del Don. Non percepisce o finge di non percepire perché non può scrivere nulla sullo stato della guerra. Proprio il giorno dopo, il 19 dicembre 1942, prenderà il via la prima ritirata, quella delle fanterie.
Cito una frase tratta dall’ultima cartolina:
“..per me per il momento il guadagno è se mi guadagno la vita. Riguardo al freddo, sembri si avanza, nemmeno per terra si può camminare ma, come vuole Dio”.
E’ l’ultimo messaggio di Giuseppe Belfiore. A tu per tu con un presagio di morte Giuseppe cerca di distrarsi pensando alla sua terra con la raccolta di limoni, al vino, ai mandarini, alle arance. Ed alla vendita. Che serve al necessario per vivere. Il rifugio nel quotidiano parla di serenità di vita.
Ho avuto l’idea, diversi anni fa, di rivolgermi al CENTRO STUDI UNIONE NAZIONALE ITALIANA REDUCI DI RUSSIA per chiedere una nota quasi ufficiale sulla conclusione della vita di GIUSEPPE BELFIORE. Ho ricevuto questa risposta firmata dal dr. Carlo Vicentini che si occupò, per diversi anni, dei morti e dispersi in Russia:
“Il Soldato GIUSEPPE BELFIORE nato in Acireale il 29.09.1914 appartenente al 277° Reggimento Fanteria Divisione “Vicenza” risulta DISPERSO. Questa Divisione destinata come forza di occupazione con servizio di polizia delle retrovie, fu mandata sul fronte del Don di rincalzo alle Divisioni Alpine. Con esse ha fatto la ritirata subendo moltissime perdite, sia perché non era dotata di armi e di indumenti come gli Alpini, sia perché costituita principalmente di classi anziane”.
Contributo del Prof. Antonio Leotta
..”Il Natale 1942 degli Italiani in Russia fu segnato dalla paura. Giuseppe aveva scritto: …”per me il guadagno è se mi guadagnio la vita”. Guadagnarsi la vita. Riuscire a salvarla sotto un fuoco nemico ormai troppo vicino…
...Il Natale sulla riva del Don non aveva nulla a che vedere con quello di Betlemme. I coniugi di Betlemme affrontarono freddo e gelo per fare nascere l’amore. Qui si produceva solo odio. E’ difficile trovare l’amore tra due fronti di guerra. E riuscire a capire che Dio rispetta tutte le scelte di comportamento degli uomini. Ci ha dato la libertà di scegliere e, per far questo, permette anche che gli uomini procurino morte. Quello che dovremmo chiederci è perché noi uomini non riusciamo a capire che è bene scegliere di amare….
...Sotto il micidiale fuoco di ogni imprevedibile bombardamento, con i piedi immersi nella neve, senza la possibilità di un po’ di cibo caldo e di un momentaneo giaciglio, i ragazzi si chiedevano nel segreto del loro cuore a pezzi: perché non siamo vicini ad abbracciare i nostri cari mentre si fa sempre più lontana ogni certezza di poterli stringere ancora? E qui il pensiero si vestiva di tenerezza.
Giuseppe sognava ad occhi aperti Mamma Maria che aveva raccolto la “sparacogna” e, depositandola su un cassettone, creava con essa, insieme ai figli, come una grande capanna. Al suo interno, aveva posizionato alcune sagome di pastori di terracotta che lasciavano vedere solo la parte anteriore colorata mentre, dietro, erano tutti lisci. C’erano Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello. E c’era a “susanédda” che scendeva dalla montagna “ccu na cannistrédda ‘ntésta di nucìddi e di castàgni”. E c’era u “sùsi pastùri” che si svegliava nella notte per correre ad ammirare il Bambino che nasceva. E c’era “Innàru”, quel vecchio accovacciato sul braciere. E c’erano tante pecorelle sparse in mezzo al “lìppu”, il muschio che i ragazzi avevano raccolto in qualche angolo umido della campagna. La cosa che lo faceva sorridere era il cotone idrofilo sparso a pezzetti sulla verde “sparacògna” che stava a rappresentare la neve che fioccava. Quanta differenza tra quei ciuffi di cotone e la neve ghiacciata che lo circondava in quella sperduta terra russa.
Giuseppe ricordava come si cantava dinanzi a quel presepe nella casa da “Ccchianàta o Sòbbu”:
“Sùtta ‘mpéri di patàcca
c’è Maria ca tira l’acqua
e ni tira ‘nquaticéddu
ppi lavàri lu Bamminéddu.
La ninna nanna mio caro Bambino
la ninna nanna ti voglio cantà.
Sùtta ‘mpéri di nucìdda
c’è na nàca piccirìdda
si cci cùcca lu Bamminu,
Sangnuséppi ccu Sangniachìnu.
La ninna nanna mio caro Bambino
la ninna nanna ti voglio cantà.
Poi, mentre si sentivano i primi colpi di granata, Giuseppe ricordava Mamma Maria che soleva ripetere “na pòsta di rusàriu”:
“Parturìu la gran Signùra
‘nta na pòvira magiatùra
e Gesù, lu Bamminéddu,
ni la la pàgghia
è puuréddu.
O gran Vérgini Maria
cunsulàti l’anima mia”.
Giuseppe Belfiore -come tutti gli altri soldati- in quell’ora sentiva tanto il bisogno di essere consolato da una madre. In quelle notti di paura e di freddo, dovevano essere tanti i soldati che biascicavano una preghiera a una madre che consola. Ciascuno lo faceva con le parole della propria terra. Tanti siciliani presenti ripetevano l’Ave Maria con il proprio dialetto:
“Dìu ni sàbbi Maria,
chìna di ràzzii,
u Signuri è ccu bbùi,
Vui siti binidditta ‘ntra tutti li donni
e binidittu è lu fruttu di lu ventri vostru, Gesù.
Santa Maria, gran matri di Diu
Priàti vùi ppi nùi, poviri piccaturi.
Ora e nall’ura di la nostra motti.
E così sia.
Qualcuno, sul fronte del Don, cominciava a percepire che l’avverbio “ora” stava drammaticamente per unirsi all’ “ora” del tempo imminente”
Passo tratto da “DISPERSO” Racconto storico di Antonino Leotta, Tipografia Massimino, Acireale (CT), 2022
“Al freddo e al gelo”: Giuseppe Belfiore e il suo ultimo natale in Russia.
Vi è mai capitato di avere tra le mani qualcosa di talmente bello da non volerlo neanche sfiorare? Non per paura di romperlo, quanto per il terrore di contaminarlo, di poterne adombrare la bellezza?
A me è successo con questa storia. È tanto toccante da costringermi a compiere un atto di coraggio a raccontarla, come se potessi tralasciare qualcosa e non rendere giustizia a chi non c’è più e a chi ha aspettato per tutta la vita un ritorno.
È la storia di un Natale che non sapeva di esserlo, di un presepe lontano migliaia di km da Betlemme e ancora di più da Acireale.
I genitori di Giuseppe Belfiore vivevano ad Acireale, a pochi passi dalla mia Modica.
Anche Giuseppe viveva ad Acireale, e poi l’hanno chiamato nell’aviazione, quando aveva 27 anni, per fare la guerra e l’hanno mandato a Reggio Emilia e poi di corsa a Brescia.
Era anche tornato in licenza ad agosto del ‘42 per vedere la sua nipotina che stava per nascere. Non farà in tempo: il 2 settembre dovrà rientrare di corsa e di corsa andare in Russia “per difendere la patria”. “Hanno difeso un cavolo!”, sottolinea il professore Leotta. È un uomo di cultura e raffinato, si capisce sin da subito, ma non è uno sprovveduto né un illuso: andare in Russia è stato un atto predatorio contro quel paese, contro una patria altrui.
Sarino e Maria, i genitori di Giuseppe, erano ad Acireale quel Natale con gli altri sei figli. Giuseppe era in Russia con la Vicenza a Natale del ‘42.
Lui manda lettere a casa e racconta alla sua mamma del freddo pungente di quella terra, le racconta di un presepe vivente così diverso da quello che faceva lei.
C’è la neve vera lì, montagne di neve bianca e candida e bianca come quel cotone che la sua mamma usava per il presepe. Non lo sa ancora Giuseppe, ma forse l’ha capito, che tra pochi giorni quella neve sarà colorata di rosso, il rosso magenta del sangue della Brambilla.
Poi ci sono le grotte che però non sono scavate nella montagna, ma sotto terra, per ripararsi dal gelo, e non ci sono il bue e l’asinello a scaldare. Talvolta c’è una stufa e poi ci sono i muli che, buoni ed umili come sono, salveranno la vita di tanti soldati riportandoli indietro per chilometri durante la ritirata fino a Gomel.
Anche lì c’è la stella cometa. Ce ne sono a centinaia nel cielo di Russia nel Natale del ‘42: il cielo è illuminato a giorno dai traccianti, quei proiettili che indicano dove colpire, dove stanare.
C’è anche l’equivalente dello sbavintatu a stidda, che ad Acireale e nel catanese si chiama Sùsi Pastùri ed un mio amico mi ha spiegato che è il protagonista di una nenia natalizia molto diffusa da quelle parti, un’esortazione rivolta ad un pastore che si desti e accolga con i dovuti onori il neonato Bambin Gesù.
Anche in Russia i soldati si esortano tra di loro ad alzarsi, a rialzarsi dalla neve: a -35° se ti fermi, se ti accovacci, in pochi istanti il cuore si ferma, l’anima e la vita si congelano e tu ti addormenti lì per sempre.
Nel materiale per raccontare questa storia ci sono delle preghiere in dialetto, delle nenie natalizie. Anche per me è difficile comprenderle talvolta, ma l’immagine arriva subito, i ricordi riaffiorano e si susseguono.
È il Natale di quand’ero bambina, degli zampognari - così esotici ai miei occhi - che passavano tra le stradine della Giacanta, imperturbabili nel loro abbigliamento da pastori, con le loro giacche di pelli di pecora e quel mantello che li faceva apparire dei misteriosi cavalieri neri di un tempo che fu.
È Nino, straordinario collega e amico musicista, che mi racconta di ‘Susi Pasturi’, è lui a spiegarmi i particolari, a raccontarmi delle nenie e delle cantilene. Anche lui è uno zampognaro ed anche lui è catanese. Quello è il suo mondo, la storia della sua terra.
Quello è il mondo di Rosario e Maria, il mondo da cui Giuseppe è lontano migliaia di chilometri. E scrive Giuseppe, scrive alla sua mamma perché in cuor suo sa che per lui non sarà mai più Natale, che la pòsta di rusàriu che lei recita durante le sue preghiere è tutto ciò che gli rimane. Lo scrive chiaramente, quasi violentemente, tanto da superare la stessa censura: “per me il guadagno è se mi guadagnio la vita”.
Non se l’è guadagnata la vita e neanche la salvezza: Giuseppe si è perso. È uno degli 84.000 morti e dispersi della Campagna di Russia, uno dei 6116 ragazzi, i caduti e i dispersi della “Vicenza”, quella che per ridere chiamavano Brambilla perché l’avevano aggregata al Corpo d’ Armata Alpino, ma Alpini non lo erano affatto. Erano fornai, musicisti, meccanici, Giuseppe era un agricoltore e da militare aveva fatto l’aviere, come anche Giuseppe Procida, il ragazzo di Palermo di cui ho raccontato un paio di mesi fa. Anche lui s’è perso in Russia.
I genitori di Giuseppe lo aspetteranno per tutta la vita e anche dopo: è disperso, non è morto!
Lo inseriscono anche nel loro testamento: è disperso, non è morto!, quando tornerà troverà la sua famiglia che lo aspetta.
È quello il vero strazio: aspettare chi non tornerà mai, illudersi ogni giorno di rivedere il suo viso, sognare di cantare insieme le strofe di Natale, con gli zampognari che passano per le viuzze della città, con le loro giacche di pecora ed i loro mantelli neri come cavalieri poveri di un tempo che fu, quando il presepe si faceva con la sparacogna ed il cotone e la cometa era una sola, ad indicare la nascita di una nuova vita.
La storia di Giuseppe Belfiore è stata raccontata da Antonino Leotta, professore di Acireale che ha scritto di lui e per lui “Disperso”, un libro toccante ed emozionante, reperibile anche online, che ringrazio per la disponibilità e la preziosa collaborazione. Nel corso della nostra telefonata mi ha raccontato della sua ricerca e, soprattutto, mi ha svelato una sensibilità d’animo che mi ha toccata profondamente. Ha fatto un gran lavoro e la sua città gliene ha riconosciuto il merito: il 4 novembre, quel giorno in cui questo nostro paese ricorda il Milite Ignoto, nell’Acireale di Giuseppe Belfiore, Antonino Leotta, davanti alle autorità civili e militari, ha letto alcuni estratti del suo libro, ha raccontato la storia di un soldato della Vicenza e di una famiglia che l’ha atteso, la storia di un ragazzo di 28 anni morto per difendere una patria che non era però minacciata.
Dicendomi di quel giorno, Leotta proferisce una frase che mi commuove: “insieme al Milite Ignoto, dovremmo celebrare il Milite Disperso”. Ha ragione.
Nella mia città, nella mia Modica, 109 ragazzi sono morti o si sono persi nella neve di Russia. Per loro, ma non per tutti loro, c’è solo una lapide dietro il monumento ai caduti della I guerra mondiale, anche loro caduti senza nome, anche loro caduti per difendere una patria che nessuno aveva attaccato, anche loro dimenticati.
Noi no, noi non intendiamo dimenticarli.
Un sincero ringraziamento a Mauro Depetroni che mi apostrofa dicendo di esserne solo il custode della memoria ed a Giuseppe Rizzo WEB MASTER del Sito www.divisionevicenza.it
Altrettanto sincero giunga il mio grazie al prof. Nino Di Francesco per la pazienza e l’amorevolezza con cui mi ha riportata ad un tempo fuggito troppo in fretta, quando tra le vie della Giacanta gli zampognari suonavano il natale ed il mio mondo profumava ancora di pace.
Contributo di Siriana Giannone Malavita
foto e documenti messi a disposizione dal Prof. Antonio Leotta
la Foto del Monumento ai Caduti di Acireale è tratta dal Web http://www.foto-sicilia.it/
Prof. Antonio Leotta, DISPERSO, Tipografia Massimino, Acireale (CT), 2022
Prof. Siriana Giannone Malavita, Rivista DIALOGO, mensile di cultura, politica ed attualità, anno XLIX – numero di Gennaio 2024
TESTO DELLE CARTOLINE
PRIMA CARTOLINA Al cognato Antonino (11 ottobre 1942)
Antonino carissimo, con questa mia presenti ti faccio saperi il mio stato ottimo di salute nel mio meglio. Auguranto la mia presente trovarsi a te assemi i tuoi di famiglia di ottima salute. Dunqui caro Antonino io ti faccio saperi che ancora mi trovo in viagio e ti posso dire che in corso il viaggio mi sono divertito che o visto vasti pianuri infinite che io non credevo mai di vederi queste pianuri e anchi o visto granti città. Di te nessuna notizia da quando sono partito di casa. Non altro, ti ricevi i più cari saluti e hai insieme i tuoi di famiglia per sembri tuo affezionato cognato Belfiore Giuseppe ciavo.
SECONDA CARTOLINA Al cognato Antonino (16 ottobre 1942)
Antonino carissimo oggi stesso ricevuto la tua gradita lettera dove mi dai notizia del tuo stato ottimo di saluti insieme i tuoi di famiglia come al momento lostesso ti posso dire di me che godo ottima saluti. Dunqui, caro Antonino oggi infini mi trovo al mio destino dopo lunche giorni di viaggio che la tua lettera portava la data del 24 settembre anchi mi fai sapere che la stima che o fatto dell’uva è riuscita come ti o detto. Speriamo di fare una buona vendita. Io nienti altro posso...come….
TERZA CARTOLINA Al cognato Antonino (20 ottobre 1942)
Antonino carissimo con la presenti ti do notizia del mio stato ottimo di salute nel più meglio auguranto la presenti trovari a te assieme i tuoi di famiglia del più ottimo stato di saluti. Dunqui caro Antonino io ti faccio saperi che giorno 20 ottobre siamo arrivati al posto di residenza che speriamo di rimaneri dove siamo per il momento che ti faccio sapere chi a molto tempo che siamo in cammino da te o preso una sola lettera quando sono stato quei pochi giorni in licenza anche ti faccio saperi che dovi mi trovo non cie niente per comprari ma non cedi cosa fari come voli Dio. Tu fammi saperi cocche cosa delle nostre parti io non o cosa farti saperi, solo che mi trovo così lontano. Intanto passo a più cari saluti e baci a te e tutti i tuoi di famiglia e per sempre tuo affezionato cognato Belfiore Giuseppe.
LETTERA AI GENITORI ( 24 OTTOBRE 1942)
“…giorno 5 sono partito da Brescia per un lungo viaggio che ormai mi trovo nella terra russa che giorno 16 siamo scesi dal treno e adesso siamo in camino che ciavemo da fare 170 chilometri a piedi e vi dico che ci divertemo a fare questa strada a piedi che solo si vedino vasti pianuri senza nessuna casa di abitazione come terri sono molto belli. mi aveti fatto saperi che dalle nostre parti non ancora a piovuto speriamo di pioveri presto. Anche mi aveti fatto saperi che il patre assemi ai miei fratelli sono a vendemmiare che questanno hanno fatto una buona vendemmia… e anche fatimi saperi se hanno postato la semi di patati e se voi aveti messo la terra a posto
QUARTA CARTOLINA Al cognato Antonino (29 novembre 1942)
Antonino carissimo con tanta gioia oggi stesso ho preso una tua cartolina che mi dai notizia del tuo ottimo stato di saluti assemi i tuoi di famiglia come lo stesso finoggi ti posso ricampiari di me che godo ottima saluti. Caro Antonino tu mi fai sapere che ai avuto notizia di nostro cognato Giuseppe e lui ti fa sapere che dove è lui fa caldo ma io lo so che dove è lui fa caldo ma dove sono io è freddo perché tra la Russia e l’Africa c’edi molta differenza ma intanto bisogna abituarci ad ogni cosa. Intanto io caro Antonino non o cosa farti sapere. Tu fammi saperi cocchecosa dalle nostri parti anche fammi sapere su pianti patate quest’anno io mi rillascio… Un bacio a mio nipote Orazio e alla piccola Achatina e tu assemi alla tua sposa per sembri. Saluti e baci per sembri tuo affezionato cognato Belfiore Giuseppe.
QUINTA ed ULTIMA CARTOLINA Al cognato Antonino (18 dicembre 1942)
Antonino carissimo oggi stesso o preso una tua lettera che sono contento nel sentire che godeti ottima saluti assieme tutti in famiglia come lo stesso finoggi ti posso ricambiare di me dunqui caro Antonino tu mi fai saperi che damè non ai ricevuto nessuna notizia io ti faccio saperi che anchi che non prentu tuoi notizie scrivo lo stesso anchi mi fai saperi che stai raccogliento i limoni anchi tiai ventuto il vino ma io dico che il vino lai ventuto poco perché era meglio di quello della mamma e quasi lai ventuto lo stesso ma speriamo sembri così anche mi fai saperi che ai comprato un po di mantarini e aranci dove siamo stati quanto era io a licenza io nio molto piaceri a sentiri che sempri guadagni ma per me per il momento il guadagno edi se mi guadagnio la vita riguardo al freddo sembri si avanza nemmeno per tera si po camminari ma come voli Dio non altro ti ricevi i più cari saluti e baci assieme a tutti i tuoi di famiglia un bacio a Orazio per sembri tuo affezionato cognato Belfiore Giuseppe.
Articolo su Giuseppe Belfiore di Siriana Giannone
"Dialogo" - Gennaio 2024