Cap. Cpl. Luciano BERRA

di Francesco e Carlotta Ansaghi

278° Reggimento (Comando di Reggimento)

nato a Milano 18.10.1903

Deceduto il 14.4.43 in prigionia, campo 74 di Oranki - Оранки


nota: ORANKI Regione di Gorki (400 Km. ad est di Mosca, sul Volga), n° 74 50 Km. a sud del capoluogo vicino alla stazione di Bogorodsk.
Nel campo n°74 vi furono rinchiusi gli ufficiali catturati nell'agosto del '42, raggiunti nel marzo 1943 da tutti gli ufficiali italiani provenienti dai lager di Khrinovoje, Tambov e Uciostoie.
Vi morirono 661 italiani di cui 327 ufficiali.

 Tra i Caduti di Oranki 46 erano della Vicenza, 39 ufficiali assieme ad altri 7 soldati della Divisione, con molta probabilità quelli fatti prigionieri a Warwarowka, primo tra di loro lo stesso Comandante del 278°, il Colonnello Gaetano ROMERES.

Da Oranki riuscì a sopravvivere il Capitano Gabriele Gherardini che di quella terribile esperienza scrisse le sue memorie nel libro LA VITA SI FERMA Prigionieri Italiani nei “Lager Russi” (Collana LE VOCI, Baldini e Castoldi – Milano, 1948), la stessa che ebbe modo di passare Luciano Berra senza però farvi ritorno.


LA GUERRA NON SI FA CON LE PAROLE, SI FA COL PROPRIO PERSONALE SACRIFICIO !


Visitando il Museo di Cargnacco (UD), curato dall’UNIRR, ove sono conservate numerose testimonianze delle vicende militari al Fronte Russo, su una parete una cornice contiene una lettera e la foto di un volto che mi era noto: il Capitano Luciano Berra, ufficiale di Complemento richiamato in servizio al Comando del 278° Reggimento.
Di lui avevo già una immagine ed un ricordo che mi erano stati trasmessi dall’allora Presidente dell’UNIRR Gianfraco Vignati, figlio del Capitano Egidio del Comando del 278° Reggimento della Divisione Vicenza, stesso reparto di Luciano Berra.
Luciano Berra colpisce per lo sguardo di giovane curato ed intelligente e da un portamento elegante e fiero. Lo si ritrova nella foto della festa del Reggimento il 24 agosto del 1942 a Bergamo e non sfugge nella foto del quadro di Cargnacco.
Di lui ci sono alcune notizie, lo si ritrova come responsabile del giornale di Trincea L’IZBA - Изба́, informatore del 278° fanteria, ciclostilato in Ucraina nel novembre 1942 ed uscito in 8 copie ( … esce quando la radio funziona ed il Direttore non ha altro da fare … ), poi lo ritroviamo alla cena di Natale del 1942 al fronte, assieme ai colleghi ufficiali del Comando 278°. Di questo momento, forse l’ultimo quasi sereno, è conservata una cartolina con il menù e le firme dei convenuti tra i quali appunto Luciano Berra. Poi la lettera trovata a Cargnacco, un vero capolavoro scritto alla sorella Pia nella notte di San Silvestro del 1942. Luciano Berra oltre che uomo di cultura e giornalista era anche uno scrittore e nella corrispondenza si percepisce il cuore e la sottile preparazione letteraria con la quale descrive un momento di vita al fronte Russo in cui è stato protagonista con la Divisione Vicenza. Leggendola si sente la sensibilità d’animo di un uomo giovane ma sicuramente turbato dal contesto nel quale si trovava a vivere, trasmettendo l’incertezza del momento e il legame con i propri congiunti.
Il Capitano Luciano Berra ha partecipato alle fasi di ripiegamento del suo Reggimento come viene testimoniato Francesco Lo Bue nel suo libro “La luna sul Don” (La Zisa Edizioni s.r.l., Pioppo -PA, 1996) e sicuramente è stato fatto prigioniero con la resa del 278° a Warvarovka il 23 gennaio 1943 per poi venire internato nel campo di 74 di Oranki assieme al Capitano Vignati, ove decedeva in prigionia il 14 aprile 1943.


Prima di essere richiamato come Ufficiale di Complemento, Luciano Berra (n. il 18 ottobre 1903) abitava a Milano, sua città natale, nella centralissima via Giustiniano.
Era laureato in Scienze Sociali e di professione è stato un affermato giornalista di formazione cattolica. Esordì giovanissimo nel 1921 come collaboratore di alcuni settimanali, direttore di un periodico mensile dell’epoca e redattore di importanti testate. Di lui numerosi libri pubblicati fino al 1942, ancora reperibili.
Il suo pseudonimo era “ITALICUS
Essendo giornalista, di lui si trova qualche notizia nell’annuario della stampa italiana, edizione 1939-1940.
E’ stato collaboratore dei giornali

“L’ITALIA”,

il “GIORNALE DI GENOVA”,

poi corrispondente da Milano per “IL CORRIERE di TORINO”,

direttore della Rivista “IL GLOBO” e del settimanale illustrato “VITA E PENSIERO”,

redattore de “L’ITALIA - quotidiano cattolico”.

Ha svolto incarichi giornalistici in Francia, Spagna, Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Turchia, Grecia, Palestina, Egitto, Germania, Polonia.

Il dr. Luciano Berra ha pubblicato:
Soggetti di politica e storia, quali:

“LA FRANCIA NEL VOLTO DI DUE ETA’ (1936)” ,

“VINTI E VINCITORI NELL’ EUROPA DANUBIANA (1937)” ,

“LA PACE ARMATA (1941)” ,

“LA RUSSIA DI STALIN (1942)”,

“DIORAMA INTERNAZIONALE: IL DRAMMA DELLA POLONIA”,

“DA VERSAGLIA A BREST LITOVSK” ,

LA POLONIA (1939)”


Soggetti di Arte e religione, quali:

“LURDES E ALTRI PAESAGGI DELLO SPIRITO (1928)”,

“MATERNITA’ DIVINA (1931)” ,

“IL CATTOLICISMO IN FINLANDIA E IL SENSO RELIGIOSO DEL POPOLO (1940)” ,

“CREDERE E DANARO, DUE LIBRI D'ARTE E DI FEDE (1934)”,

“CRONACHE DEL REGNO DI DIO - ANIME EROICHE ALLA GLORIA DEGLI ALTARI (1934)” ,

“PROBLEMI D'ARTE E DI VITA NELLA LETTERATURA CATTOLICA (1934)” ,

Biografie, quali:

“TRE MIRACOLI NELLA VITA DI UN FRATE (1936)” ,

“ADA NEGRI: DA FATALITÀ A VESPERTINA (1931)” ,

“TERESA NEUMANN DI KONNERSREUTH (1934)”

Nel 1941 Luciano Berra fu oggetto di una controversia perché alcuni suoi articoli diedero l’impressione di esaltare il bolscevismo, nonostante lui fosse di ispirazione cristiana (quindi antibolscevico per natura), questo probabilmente il pretesto per venir assegnato da richiamato alla Divisione Vicenza e per essere poi inviato al Fronte Russo da cui non fece più ritorno.
“bisogna venire qui per sapere che cosa sia il sacrificio. Nessuno può immaginarlo restando al comodo riparo … di una redazione di giornale, dico questo per molti miei colleghi che maneggiano destramente la penna che io ho lasciato dodici mesi fa sul mio tavolo di lavoro come una cosa diventata oramai inutile”.


Un ringraziamento al giornalista Fabio Fattore ed al ricercatore universitario Raffaello Pannacci per aver fornito materiale d’archivio e documentazione.
Ad UNIRR ed il suo Museo di Cargnacco un doveroso grazie per la diponibilità a pubblicare la lettera.


Lettera del 31 dicembre 1942 (P.M. 156) scritta dal Capitano Luciano Berra alla sorella Pia, donata poi dalla stessa all’UNIRR il 15 settembre 2019 e conservata nel Museo di Cargnacco (UD)

 

Fronte Est — 31 Dicembre 1942

S.Silvestro

Mia carissima Pia

dunque devi svolgere il tema Posta al campo. Ma chi ti ha dato questo tema ?

Domanda pure a mio nome alla tua professoressa, o a chi per lei, come le sia venuta in mente una cosa di questo genere.

Per svolgere un tema come questo bisogna prima fare un viaggio di 4607 chilometri come io ho fatto e sentirsi sperduti in un oceano bianco, lontano dalla propria casa, dai propri cari, dalla mamma, dalla sposa, dai bimbi, oppure bisogna attraversare il mare e andare a farsi bruciare sulle sabbie del deserto africano.

Soltanto allora si può svolgere il tema.

Sui banchi di scuola si scrivono delle parole coll’inchiostro. Bisogna venire qui dove siamo noi per scrivere delle parole col sangue. Dico col sangue non solo perché dove c'è la guerra c'è il sangue, ma perché sangue si spreme dalle nostre sofferenze, dalle nostre nostalgie, dalle nostre rinunce.

E’ ora di piantarla con certi compiti di scuola che non possono essere se non carpite immaginazioni, inutili “arzigogolamenti” nonché faticose ed inconcludenti sui vetri della fantasia.

Noi soldati che facciamo la guerra siamo stufi ed arcistufi di tutte le parole inutili che si scrivono.

La guerra non si fa con le parole, si fa col proprio personale sacrificio. E bisogna venire qui per sapere che cosa sia il sacrificio. Nessuno può immaginarlo restando al comodo riparo di un'aula scolastica o magari di una redazione di giornale (dico questo per molti miei colleghi che maneggiano destramente la penna che io ho lasciato dodici mesi fa sul mio tavolo di lavoro come una cosa diventata oramai inutile).

Faresti dunque bene a dire alla tua professoressa che non puoi svolgere il tema e che tuo fratello, il quale sa per esperienza personale che cosa voglia dire ricevere la posta al campo, ti ha consigliato di consegnare il foglio in bianco.

La posta al campo!........... Sai, a me è accaduto questo.

Ero in Russia da qualche settimana quando un giorno ricevetti l'ordine di partire con un paio di autocarri e compiere un viaggio di oltre 300 km (tra andata e ritorno) per andare a prendere del pane, quattromila razioni di pane e, contemporaneamente, esporre al Capo di Stato Maggiore della mia Divisione alcune cose assai importanti.

Il viaggio di andata fu discreto. In meno di cinque ore percorsi i 150 km che mi separavano da R. a R. Era una media buona per le strade russe in quel momento.

Il viaggio di ritorno, appena al di là dell'inizio, si profilò ben diverso. Era una giornata livida. La strada era viscida. Non si riusciva a tenere le macchine. Ad ogni momento si rischiava di andare fuori strada e di cappottare. Le macchine erano trottole; anche le più pesanti. A quei disgraziati degli autisti si spezzavano le braccia nello sforzo disperato di mantenere il comando.

Poi, improvvisamente, si mise a nevicare. La prima nevicata dell’anno. Cadeva una neve gelata e fitta. Il vento ci soffiò dentro e la tormenta ci avvolse. Impossibile continuare la marcia. Dovemmo arrestarci.

I soldati, in quella notte, dormirono all’addiaccio, io trovai posto in una casupola di contadini e dormii in una piccola stanza dove eravamo in dieci: uomini, donne, ragazzi in un fetore insopportabile che prendeva allo stomaco (vuoto perché non avevo mangiato). Poiché restava un po’ di posto tra testa e testa ne approfitto qualche topo per le sue passeggiatine notturne.

La mattina dopo, all'alba, il viaggio riprese. Bisognava arrivare a qualsiasi costo. E invece, fatti un po’ di chilometri su queste strade che qualche genio malefico deve aver maledette, gli autocarri sprofondarono nel fango. Non valse mettersi sotto, tutti, a spingere. Il motore ruggiva inutilmente, le ruote giravano a vuoto, le macchine si inclinavano paurosamente. Avevo con me una macchina molto grossa: se si fosse rovesciata mentre noi si tentava di sollevarla dal fango ci avrebbe schiacciati tutti.

Passai qualche quarto d’ora poco piacevole per quelli che attendevano alla responsabilità del carico, a quello che avrebbe potuto accadere.

Ma di proseguire non c'era nemmeno da parlarne. La notte ci sorprese in un piccolo villaggio. Eravamo tutti stanchissimi e infangati fino ai capelli. Nei due giorni ci eravamo nutriti appena di qualche pezzo di pane perché, contando di fare la strada in poche ore, non avevamo portato viveri con noi.

lo avevo anche con me un plico con alcuni documenti importanti che dovevo tenere sempre indosso perché, ad ogni evenienza, avrei dovuto distruggerli.

La notte non fu del tutto tranquilla. C'erano allarmi in giro. Si dovette vegliare. Se fosse accaduto qualcosa eravamo in quattro o cinque a difenderci. Per fortuna non accadde niente, forse per la buona ragione che durante la giornata era stato scoperto un piccolo complotto e fatti prigionieri due o tre partigiani.

La mattina alle quattro eravamo nuovamente in moto. Bisognava approfittare delle ore in cui la strada era ancora soda dal gelo della notte. Avevamo sulle spalle due giorni e due notti quasi senza riposo e il vuoto dello stomaco era rimasto, si può dire, tal quale.

E queste strade ci mettevano a durissima prova i nervi. Avremmo potuto raggiungere la meta ?

La stagione non era ancora molto fredda e quando spuntava il sole la strada si sgelava trasformandosi in un pantano.

La prospettiva di un’altra sosta mi esasperava, prima di tutto perché sapevo di essere attesissimo, poi perché sentivo un gran bisogno di lavarmi e stendermi nella mia brandina a dormire, dormire, dormire.

E invece si andava avanti con immensa fatica. Spesso dovevamo scendere e spingere le macchine affondando nel fango fino a mezza gamba. Dopo qualche ora eravamo spremuti di energie e di pazienza.

Veniva quasi la tentazione (dico così per dire) di buttare le macchine nel fosso più vicino e sdraiarsi in un campo di girasoli a smaltire la stanchezza. I nervi erano spezzati.

E invece bisognava andare avanti.

Ebbene, ad un certo punto della strada incontrammo un Reparto del nostro reggimento. Feci fermare le macchine e scesi a terra per assicurarmi che non ci fossero novità.

Invece c'era qualche novità, si, c'era qualche novità e questo reparto era in possesso della prima posta giunta dall’ Italia da quando noi ci trovavamo in Russia, lettere delle nostre mamme, delle nostre spose, dei nostri figlioli, delle nostre sorelle, delle nostre fidanzate: piccoli fogli di carta sui quali si erano chinati i nostri cari pensando a noi, forse piangendo, certo col cuore in tumulto, cose uscite dalle nostre case, capisci, toccate da mani care, da mani di mamme, di spose, di bambini.

Oh, allora, il fango, la stanchezza, la preoccupazione, la tensione dei nervi, il penoso calvario di quei giorni, tutto sparì come d’incanto. Non ci ricordavamo più di niente. Ci sentivamo giovani, freschi, lieti, e anche la fame non si avvertiva più.

Soltanto, avvertivamo un po’ di bruciore agli occhi perché il desolato paesaggio di Russia appariva come un velo di nebbia. Ed erano lacrime, a velare il paesaggio, lacrime vere, calde, silenziose, lacrime di soldati che non piangono nemmeno sotto il morso del dolore, eppure ora piangevano quasi senza saperlo perché su un foglietto di carta leggevano parole che recavano l’odore buono della casa.

Poi caricammo sugli autocarri tutta quella carta perché giungesse più presto ai nostri soldati, giungesse assieme al pane a sfamarli di un’altra fame.

-Forza ragazzi- dissi allora io — sotto, che dobbiamo arrivare.

Non sentivamo più stanchezza, e sull’arido paesaggio di Russia sembrava sovrapporsi l’immagine lieta di un mondo lontano.

E tutto fu vinto, con le spalle sotto gli autocarri, affondati nel fango fino a mezza gamba, tutte le energie tese in uno sforzo disperato, le macchine furono spinte avanti.

Dovevamo arrivare, non avevamo più soltanto il pane.

Arrivammo. E quando si toccò la meta, dai miei autocarri partì un solo grido — C'è la posta ! ....-

E fu come si fosse annunziato che una gioia nuova era spuntata sul mondo.

Questa è >> La posta al campo <<.

Ma bisogna venire fin qui per sapere cosa vuol dire, bisogna provare questo brivido che percorre tutta l’anima. Che cosa volete immaginare voi, piccole piccioncelle al caldo del nido ?

Dillo alla tua professoressa a nome mio: vi faccia descrivere la solita bella giornata in campagna o la festa del Natale attorno al Presepio, ma lasci stare >> La posta al campo <<.

Questa è una cosa seria. Per svolgere questi temi occorre aver frequentato > scuole < dove si impara il più duro sacrificio, e per essere promossi occorre una media molto alta.

Oggi è una giornata abbastanza calma e per questo ho potuto trattenermi un poco a lungo con te.

Veramente ho dovuto interrompere la lettera perché sono andato col Colonnello a visitare alcuni nostri reparti lontani un po’ di chilometri da qui. Non vivono certo comodamente sotto tutti i rapporti, ma ha trovato i soldati sereni. Ti parlerò un’altra volta di questi soldati.

Dovete tutti voler bene ai soldati e pensarli con la più fraterna simpatia. Essi meritano il vostro pensiero.

A questo punto mi viene in mente una cosa: non è forse inutile che certe cose si sappiano.

E allora fai una cosa: ricopia questa lettera tale e quale salvo queste ultime due righe e poi mandala a Gioiosa a nome mio perché ne faccia il solito uso. Le dirai che la lettera dalla mia baracca l’ho mandata voi.

 

Vi spero tutti bene e vi penso col più grande affetto.

A te, alla mamma, ad Anna tanti baci

 

P.S. Si intende che la lettera deve essere firmata al solito nome, se potete ricopiarla a macchina tanto meglio.

 

 

 

    156° Divisione Vicenza

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    156° Divisione Fanteria Vicenza