C.le Magg. Angelo BERETTA

di Carlo

278°  Rgt.

nato a Barzanò – Lecco 01.10.1915

Deceduto in prigionia nell’Opedale 3888 di Mosgà


nota: 

L’ Ospedale di Mosgà n° 3888 è situato nella Repubblica di Udmurzia (a nord della Tataria), 200 Km. ad oriente di Kazan sulla ferrovia per Sverdlovsk.

Vi morirono 251 italiani.


Grazie alla collaborazione di Renza Martini si è riusciti a ritrovare una storia relativa ad un soldato della Divisione Vicenza, il Caporal Maggiore Angelo Beretta, che molti anni addietro era stata pubblicata su F.B. dall’autore Roberto Nicolick il quale, contattato, ci ha concesso la pubblicazione del contenuto sul nostro SITO.


Il 19 novembre 1942 nel corso della seconda guerra mondiale, l’Armata Rossa lanciò una massiccia offensiva per l’accerchiamento delle truppe tedesche che occupavano Stalingrado.

La 3ª Armata romena, schierata a sud dell'ARMIR (Armata italiana in Russia) fu annientata. Il 16 dicembre, l’attacco Sovietico si concentrò anche contro le linee tenute dal II e XXXV Corpo Italiani. Il primo attacco russo fu respinto, ma il 17 i sovietici impiegarono le truppe corazzate, travolgendo le linee degli italiani e obbligandoli alla ritirata. Quasi prive di mezzi di trasporto adeguati, le divisioni di fanteria Italiane finirono in gran parte distrutte.

il Corpo d'Armata Alpino Italiano continuò invece a tenere le sue posizioni sul fronte del Don.

La Divisione di fanteria Vicenza, fu riposizionata prendendo posizione nel tratto di fronte che era stato gestito dalla Julia che, trasferita quest’ ultima a Novaja Kalitva sul fianco destro del Corpo d’Armata Alpino riuscì a contenere lo sfondamento nemico. Il 13 gennaio 1943, i sovietici attaccarono nuovamente e travolsero la 2ª Armata ungherese, completando l’accerchiamento del Corpo d'Armata Alpino.

L'ordine di ripiegare dal Don venne dato solo il 17 gennaio, con grande ritardo. In dieci giorni, le tre divisioni alpine, la Divisione di fanteria Vicenza, alcune unità tedesche del XXIV Corpo e una gran massa di sbandati italiani, ungheresi e romeni, si ritirarono per più di 120 km, in condizioni climatiche proibitive (neve alta e temperature tra i -35° e i -42°), con pochi mezzi di trasporto ed equipaggiamento insufficiente, sottoposte ad incessanti attacchi di truppe regolari e di partigiani sovietici. Il 26 gennaio, la Divisione Tridentina riusciva finalmente a rompere l'accerchiamento sovietico presso Nikolajewka, mentre le divisioni Julia, Cuneense e Vicenza, quasi del tutto annientate nella sacca, dovettero accettare la resa a Valujki.

Moltissimi italiani morirono, armi in pugno, nel corso dei durissimi combattimenti ingaggiati per difendere la propria vita e per rompere l’accerchiamento, moltissimi altri furono presi prigionieri e internati dai Sovietici nei tremendi campi di prigionia, dove la quasi totalità morì dopo breve tempo, per fame, stenti e malattie. I nomi degli infami campi di concentramento, sono rimasti impressi nelle menti e nelle anime dei pochissimi sopravvissuti: Tiumen, Tavda, Asbest, Solikamsk, Kisel, Vilva, Gubaka, Cistopol, Orsk, Gurev, Ak Bulak, Eleburga, Bostianovka, Perm, Pinjung, Mosga, Pienza, Tambow, Orankj e tantissimi altri dove migliaia di prigionieri Italiani morirono senza che nessuno potesse o volesse fare qualcosa per aiutarli.

Questa storia riguarda, un nostro militare, appartenente al 278° Reggimento della Divisione di Fanteria Vicenza: il Caporal Maggiore Angelo Beretta, fatto prigioniero dai Russi, il 29 gennaio del 1943, nella regione di Voronesc, e internato successivamente nel campo di prigionia n. 3888 Mosgà, Regione Iscievsk., dove purtroppo morirà di broncopolmonite a causa della completa assenza di cure. I suoi famigliari abitano tuttora a Spotorno e mi hanno narrato la vicenda.

Angelo Beretta nasce a Barzanò, un piccolo comune del Comasco, il 1° ottobre del 1915 e, finiti gli studi, va a lavorare a Milano presso l’A.T.M. . Viene arruolato nel Regio Esercito in Fanteria e nel 1942 parte per la Russia, aggregato con il grado di Caporalmaggiore, al 278° Reggimento, Divisione Vicenza. Il giovane caporale ha circa 27 anni, quando parte per il fronte, si è sposato il 4 maggio del 1940 con Celestina Cazzaniga, una brava ragazza del suo paese, nata a febbraio del 1917, da cui ha un figlio, Siro, che nasce l’11 dicembre 1941, 9 mesi prima che il padre salga sulla tradotta che lo trasporta assieme agli effettivi del suo reggimento, il 278°, in Russia.

Beretta è un uomo in gamba, simpatico e solare, forte e vigoroso, aperto alle novità, prima di andare coscritto, ha conseguito il brevetto di pilota di aliante, lascia la moglie e il figlio con grande rammarico e parte per la sua destinazione, quando salirà sul treno, quella sarà l’ultima volta che i suoi cari lo vedranno.

Si sviluppa tra il Caporale e la moglie una intensa corrispondenza epistolare, egli scrive alla donna che ama, una e anche più lettere al giorno, cartoline postali reggimentali, in cui manifesta grande amore e tenerezza per la moglie, Celestina, e apprensione per il figlio Siro di pochissimi mesi. Racconta nelle cartoline la quotidianità nella caserma, l’iniezione di vaccino polivalente che gli vengono fatte, le esercitazioni e l’addestramento in vista della partenza , la cui data è sempre più vicina ma ancora tenuta segreta alla truppa , gli ordini di tenersi pronti a partire e i contrordini, il probabile blocco della posta e la censura militare, la scarsità di carta e inchiostro per le lettere alla famiglia, il desiderio intenso di poter leggere un giornale, la Domenica del Corriere, e quindi il viaggio di avvicinamento, prima in treno, al fronte russo, i paesi che attraversa, l’Austria, la Cecoslovacchia, la Polonia le prime regioni della Russia, la sua meraviglia per i costumi regionali degli abitanti di questi posti. Poi le lunghe marce di avvicinamento, per decine e decine di chilometri ogni giorno, sotto il peso dello zaino affardellato. La salute è ottima, l’appetito non manca ma i piedi fanno tanto male per la strada fatta, racconta con simpatica umanità l’Angelo. Spesso le cartoline hanno dietro le righe della scrittura, un lato con delle ingenue vignette che mostrano l’azione al fronte dei nostri soldati. In una cartolina il Caporalmaggiore, con tanta tristezza e nostalgia, racconta di un sogno bellissimo in cui può vedere suo figlio, Siro, che cammina già, purtroppo rimarrà un sogno e Angelo Beretta non potrà mai più rivedere la moglie o suo figlio.

Una cartolina parla dell’arrivo a Leopoli, ultima città della Polonia, del dispiegamento dei reparti, del freddo atroce che inizia a tormentare la truppa, scarsamente equipaggiata per l’inverno russo le cui temperature iniziano a scendere sotto i 20 °.

L’amore per la moglie, Celestina, e per il figlio Siro è una costante di tutte le lettere del soldato.

Con la fine gennaio del 1943, la corrispondenza cessa, tutti i reparti italiani sono impegnati in durissimi combattimenti con i Russi che portano avanti la loro offensiva e c’è poco tempo per scrivere. Inizia il ripiegamento in condizioni terribili. Del Caporale Beretta, come di tantissimi altri, migliaia, si perdono le tracce. Ufficialmente il militare Angelo Beretta risultò disperso.

Passano gli anni, decine di anni, il dolore tesse la sua trama, l’Unione Sovietica non restituisce i prigionieri, sempreché siano ancora vivi e neppure comunica notizie della loro sorte.

La povera moglie, Celestina, non si rassegna e continua a chiedere notizie del marito a tutti gli enti, il figlio Siro cresce e diventa adulto, senza aver conosciuto il proprio padre. I Beretta dalla Lombardia si trasferiscono a Spotorno. In Italia nascono associazioni per la ricerca di notizie dei caduti e dei prigionieri della campagna di Russia: l’UNIRR, Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia, intesta nel giugno del 1992, una scheda di ricerca sul Caporalmaggiore Angelo Beretta su richiesta della moglie e del figlio ed inizia le ricerche per poter avere notizie almeno sul luogo di inumazione.

Finalmente il 21 giugno del 1993, arrivano i primi risultati, il Beretta viene dichiarato deceduto il 28 marzo 1943, in località da precisarsi. Arriva anche una comunicazione ufficiale del Ministero della Difesa: “In seguito ai mutamenti politici avvenuti nell’Europa dell’Est, è stato concluso, nel 1991, un accordo intergovernativo che ha dato la possibilità a questo ministero della Difesa, di consultare gli Archivi Segreti di Stato a Mosca, ove è custodita la documentazione dei militari Italiani, prigionieri, deceduti nei territori dell’ex U.R.S.S. nel corso della II Guerra Mondiale e considerati sino ad oggi dispersi. Dagli esiti delle ricerche effettuate è emerso che, il caporalmaggiore Beretta Angelo, già dichiarato disperso, è stato catturato dalle FF.AA. Russe, il 29 gennaio 1943, a Voronesc, internato nel Campo n. 3888 Mosgà Reg. ISCIEVSK, dove è deceduto il 28 marzo 1943. La speranza di poter recuperare e rimpatriare i Resti Mortali presenta difficoltà difficilmente superabili in quanto i Sovietici hanno sepolto i nostri Caduti in fosse comuni unitamente a quelli di altre nazionalità rendendone così impossibile l’identificazione. E’ comunque intenzione del suddetto Commissariato Generale, una volta localizzate, con precisione le aree di sepoltura, erigervi dei cippi, commemorativi a perenne ricordo del sacrificio dei nostri soldati”. Il che significa che anche il Caporalmaggiore Beretta rimane in Russia e non tornerà a casa per l’eternità.

Il dolore della vedova e del figlio fu grande. Ma a giugno del 1995, il Sindaco del Comune di Barzanò, dove nacque il Caduto, si è fatto carico di erigere presso il Parco della Rimembranza, una stele dedicata al C.M. Angelo Beretta.

Fu una grande e degna manifestazione, dove vennero tributati i dovuti onori al caduto alla presenza della Celestina e di Siro che almeno videro riconosciuto il supremo sacrificio di un uomo che era stato inviato a perdere la vita in una terra lontana e desolata, lasciando a casa gli affetti più cari che si possano avere: la famiglia, l’amore per la donna della tua vita e per il frutto del tuo amore, tuo figlio.

Sono passati tantissimi anni dalla morte del C.M. Angelo Beretta, i cui resti mortali sono a tutt’oggi in Russia in una fossa comune assieme a tanti altri militari che parteciparono alla campagna di Russia. La moglie Celestina e il figlio Siro, lo hanno raggiunto in cielo da qualche tempo, e questo è stato l’unico modo per poter riunire una famiglia che la guerra aveva diviso causando così tanta sofferenza, perché al di là delle spoglie terrene, le anime trascendono il dolore e l’odio per riunirsi in una dimensione d’amore eterno, così poco terrena.


Ringraziamo l’autore del testo, Roberto Nicolick, per la condivisione.


Nota del Comitato Divisione Vicenza

L’ indicazione della località di cattura, Voronesc è estremamente improbabile in quanto la città si trova sulla riva orientale del fiume Don, pertanto nel territorio presidiato dalle truppe sovietiche.

Tuttavia se viene considerata la regione in senso più ampio questo potrebbe avere un senso, considerando che il II e III Battaglione del 278° Reggimento erano dispiegati molto a nord del fronte del Corpo d’ Armata Alpino, in seconda schiera ai Battaglioni Alpini dei Reggimenti Morbegno e Vestone della Tridentina.

Sia il II che il III del 278° vennero però definitivamente accerchiati nella località di Warvarovka il 23 gennaio 1943, ove la quasi totalità dei relativi soldati di tutto il Reggimento non poté sfuggire alla cattura.   

 

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