S.Ten. C.p.l. Giovanni VIGILANTE

di Giuseppe e Teresa Palatella

278° Rgt – III Btg – Compagnia Comando

nato a Foggia 3.9.1916

Deceduto il 23.9.1960 a Roma

Rientrato vivo dalla Ritirata nella colonna della Tridentina sebbene congelato


Il fortunato incontro con Magda Vigilante è stato possibile grazie agli odierni Social che, sebbene frequenti con discreta parsimonia, mi hanno dato la possibilità di incrociare un suo Post nel quale raccontava di essere la figlia di un Veterano della Divisione Vicenza. Grazie a questo semplice, ma sottolineo, fortunato incontro, sono nati un dialogo ed un rapporto di reciproca stima che ci hanno permesso di entrare nei ricordi conservati di suo padre Giovanni ed in questo modo di far parlare i preziosi documenti conservati par anni e di conseguenza di ricostruire il particolare ed interessante percorso del Sottotenente Giovanni Vigilante come Ufficiale della Divisione Vicenza.

Il corso Ufficiali di Fano Giovanni lo aveva terminato nel luglio 1942. All’epoca la Divisione Vicenza si trovava in Lombardia ed il Comando aveva appena ricevuto la comunicazione di un futuro impiego al Fronte Orientale. Assegnato inizialmente alla GAF (Guardia alla Frontiera), Giovanni venne inviato alla Divisione Vicenza che raggiunse a Brescia il 7 settembre per essere destinato al 278° Reggimento, nel III Battaglione presso la Compagnia Comando a Bergamo dove giunse il 9 settembre. Il reparto era però già stato costituito dalla primavera ed i quadri con i vari soldati avevano avuto modo di conoscersi ed affiatarsi anche durate il campo d’arma svolto proprio durante l’estate. Giovanni ebbe pertanto poco tempo, nemmeno un mese, per l’ambientamento tanto che già il 1° di ottobre venne imbarcato sulla tradotta del suo Battaglione comandato dal Maggiore Attilio Aielli.

Dopo il trasferimento e lo scalo finale a Starobielsk, il Comando del 278° venne dispiegato in zona di RovenchiBelovodosk, lo stesso Comando del III Battaglione trovò acquartieramento a Rovenchi alle dirette dipendenze del Comando dell’8ᵃ Armata.

Con la fine di novembre tutti i reparti della Divisione Vicenza vennero inviati verso il Don, il 4 dicembre il 278° si trovò a Morosowka per poi essere nel Corpo d’ Armata Alpino nel quale venero inseriti come tutta la Divisione a far data del giorno 11.

Per un breve periodo il Sottotenente Vigilante si trovò con il Comando del suo Battaglione dispiegato nella città di Podgornoje. L’aggravarsi della situazione al fronte a seguito dell’offensiva Sovietica Piccolo Saturno (Operacija Malyj Saturn) però impose un nuovo cambio di destinazione ed impiego di tutta la Divisione Vicenza, per il qual motivo il reparto venne impiegato direttamente al fronte, in seconda schiera dietro il Battaglione Verona attorno la località di Datscha.

La prima quindicina del mese di gennaio 1943 vide l’aggravarsi della situazione militare al fronte ed in coincidenza anche un ulteriore fattore di crisi travolse le truppe del Corpo d’Armata Alpino, la temperatura infatti iniziò a scendere vertiginosamente sotto lo zero.

Il giorno 17, il Colonnello Signorini, comandante del 6° Alpini,   dispose che il III battaglione vicentino del 278°ripiegasse su Podgornoe per poi dirigersi ad Opyt dietro al Battaglione Verona del Maggiore Giuseppe Bongiovanni ed assumere la retroguardia del Reggimento.

 È stato già nel primo giorno di ripiegamento che Giovanni Vigilante ebbe i primi sintomi di congelamento agli arti inferiori. 

L’essere agli ordini della Tridentina sicuramente è stato il fattore che fece in modo che i feriti ed i congelati del III/278° venissero accolti nelle colonne della Sanità della Divisione Alpina e di conseguenza non furono riaggregati alla Vicenza successivamente dopo gli scontri ad Opit. Questa probabilmente è stata la coincidenza fortunata del Sottotenente Giovanni Vigilante che, seguendo la colonna della Tridentina, con la Compagnia Comando di Reggimento del 6° Alpini, trovò la salvezza, mentre il suo Battaglione di origine venne annientato tra Sheliakino e Warvarowka il 23 gennaio.

Giovanni Vigilante venne raccolto da una ambulanza a Sebekinoe  e già il 2 febbraio venne ricoverato nell’Ospedale di riserva n°6 di Karkov per essere rimpatriato successivamente dal giorno 7.

In Italia venne ricoverato in vari ospedali e luoghi di cura, tra i quali il Vittorio Emanuele III di Loano (Savona) e poi a Bari.

A Loano il 16 aprile ricevette una comunicazione dal Comando al Deposito del suo Reggimento con la quale veniva informato che del suo Battaglione erano rientrati con lui i Capitani Brambilla e Mandelli, i Tenenti Amoroso e Bressan ed il Sottotenente Furia. Nella stessa missiva gli si chiedeva notizie del Maggiore Aielli, quesito al quale rispose con la seguente breve relazione:

“In merito al Sig. Maggiore Aielli non posso dire nulla di preciso perché rimasi congelato fin dal primo giorno del ripiegamento.

Si vociferava che non si sentiva di fare il ripiegamento e che pertanto era rimasto a Podgornya (Podgornoe) a circa 27 km. Dal Don.

Durante la marcia non l’ho mai visto, di altri ufficiali o militari non posso dire niente perché dopo Opit (Opyt) ci fu il primo attacco e il battaglione non si poté più riunire io rimasi solo quasi sempre con la C.C R. del 6° Alpini.

 A Sebekino (Šebekino) fui raccolto dal Ten. Amoroso e dal S.Ten. Pira che provvidero a farmi trasportare a mezzo di autoambulanza all’ospedale di Karkow da dove poi sono tornato qui in Italia”.

La guerra per il Sottotenente Giovanni Vigilante però proseguì dopo il suo reintegro in servizio nell’agosto 1943 presso l’80° Fanteria Roma della Divisione Pasubio a Mantova, giusto per poche settimane, infatti il 9 settembre venne catturato dai tedeschi e deportato in Germania fino al suo rimpatrio avvenuto solo  il 6 agosto 1945.

Si spense a Roma il 23 settembre 1960 ancora in giovane età dopo una malattia lasciando, oltre ai suoi ricordi, una famiglia con due figli ancora molto piccoli.

Di Giovanni Vigilante come Sottotenente della Divisione Vicenza rimangono numerosi documenti ed alcune foto che sono state consegnati ad USSUME dalla famiglia a futura memoria. 

Ciò che umanamente è più significativo di lui è l’affetto della famiglia e dei figli Magda e Giuseppe, che sebbene lo conobbero per poco tempo, ne conservano un vivo ricordo, quello che ci ha permesso di conoscere un’altra pagina della storia della Divisione Vicenza e dei suoi giovanissimi soldati sacrificati al Fronte Russo, come il Sottotenente Giovanni Vigilante.

(Comitato Divisione Vicenza)


IL RICORDO DI MIO PADRE,

UFFICIALE DELLA DIVISIONE DI FANTERIA 156 VICENZA IN RUSSIA

Giovanni Vigilante, fu Giuseppe e fu Teresa Palatella, nato a Foggia il 3 settembre 1916, morto a Roma il 23 settembre 1960.

Mio padre Giovanni fu chiamato alle armi il 6 luglio 1941. Fino a quella data aveva ottenuto il congedo in quanto studente universitario, iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Siena. Il 15 luglio fu aggregato presso il Comando Deposito alle Truppe al 72° Reggimento di Fanteria Puglie presso Vittorio Veneto per frequentare i corsi per studente universitario. Dopo avere ottenuto i gradi di caporale e sergente, il 16 novembre fu inviato al VII Battaglione d’Istruzione a Bagni di Casciano. Mentre si trovava lì, mio padre collaborò alla stesura di un giornaletto redatto da un comitato di militari. «Vinceremo» era il baldanzoso augurio stampato sulla prima pagina del giornaletto, che conteneva raccontini, vignette e caricature di superiori e commilitoni. Dopo essere stato ammesso al corso A.U.C.  (Allievi Ufficiali di Complemento) per seguire il quale, il 28 febbraio 1942 raggiunse la Scuola A.U.C. di Fano, per l’arma di Fanteria specialità Linea. Le foto mostrano le attività quotidiane: le marce, il rancio, la consultazione dei plastici militari e gli eventi speciali come la visita degli alti gradi. Nominato Sottotenente, giunse al Comando XII Settore di copertura della G.A.F. (Guardia alla Frontiera) di Sondrio il 4 settembre 1942. Trasferito al Comando della Divisione di Fanteria Vicenza a Brescia il 7 settembre, raggiunse il 278° Reggimento Fanteria mobilitato il 9 settembre a Bergamo.

Alla fine della guerra, dopo essersi laureato in Giurisprudenza all’Università di Bari, mio padre si trasferì a Roma dove lavorò come esperto legale presso l’Ufficio legale del Ministero dell’Agricoltura e Foreste. Nel 1947 si sposò con Teresa Ponti che aveva conosciuto sul posto di lavoro. Dal loro matrimonio nacquero Giuseppe e Maria Maddalena. Nonostante il mio nome ufficiale, fin da bambina in famiglia fui chiamata Magda, diminutivo che probabilmente trovò proprio mio padre. Egli ebbe una vita breve e quando morì per un tumore, nel 1960, io avevo appena 9 anni. Tuttavia ho sempre conservato gelosamente tutti i ricordi che ho di lui. E’ stato un marito e un padre affettuoso, che mostrava una particolare tenerezza verso di me, forse perché ero la più piccola e una bambina. Gli piaceva inventare nomignoli con cui mi chiamava e una serie di parole che conoscevamo solo noi due. Cercava di soddisfare ogni mio desiderio, mettendomi a volte in imbarazzo, perché non sapevo proprio cosa chiedergli.

Tra i ricordi di mio padre uno risale ai miei primi anni di vita. Potevo avere 4 o 5 anni e dormivo in un lettino nella stanza dei miei genitori, mentre mio fratello, maggiore di 2 anni, dormiva in un’altra stanza. Una notte fui svegliata dalle grida di mio fratello e vidi mia madre uscire dalla stanza per andare da lui. Ero allora convinta di essere rimasta sola nella stanza, perché a quell’epoca probabilmente vedevo poco mio padre. Quando rientrava dal lavoro, forse dormivo già. Provai allora la spiacevole sensazione di trovarmi sola, al buio. Ad un certo punto però vidi calare una grande mano che prese e tenne la mia piccola mano. Lì per lì, pensai che la mano fosse di un orco, ma dopo mi riaddormentai con la sicurezza che fosse di un orco buono.

Tra gli altri ricordi, mi sono rimasti impressi alcuni suoi racconti di guerra, quando si trovava in Russia. Li narrava ai parenti quando di domenica si riunivano. Mio padre era infatti molto socievole e amava stare insieme ai parenti, in particolare durante le feste natalizie. Una domenica narrò alcune drammatiche esperienze di guerra e nessuno si accorse che io stavo ad ascoltare. Ricordo in particolare lo sgomento, ad anni di distanza, con cui raccontava di aver dovuto uccidere alcuni nemici, in realtà uomini come lui, uno dei quali l’aveva fissato, mentre cadeva ferito a morte. Mia madre mi raccontava che a volte la notte si svegliava di soprassalto, perché nell’incubo rivedeva il giovane russo che era stato costretto ad uccidere.  Da adulta, invece, dopo circa 60 anni dalla guerra in Russia, ho scoperto frugando in vecchi cassetti che mio padre aveva conservato circa 80 fotografie sulla Campagna di Russia come era scritto sulla busta. In seguito ho rinvenuto altri suoi documenti relativi al servizio militare e alcuni appunti sulla ritirata che aveva compiuto in Russia insieme agli alpini. Così tassello dopo tassello, sono riuscita a ricostruire quel terribile periodo in cui la microstoria di mio padre si era inserita nella macrostoria della II Guerra Mondiale.

Magda Vigilante

 


IL RICORDO DI MIO PADRE,

LE SUE CONFIDENZE ED IL SUO VOTO

Poche volte mio padre mi parlò della Campagna di Russia. Fu negli ultimi anni della sua vita. Avevo visto alla televisione dei documentari storici su questi avvenimenti e, sapendo che mio padre vi aveva preso parte, gli avevo chiesto cosa ricordasse. Era restìo a parlarne, ma, ogni tanto, pressato dalle mie domande, narrava qualche episodio: erano fatti terribili che, nell’udirli, alimentavano in me un odio verso quanto per lui aveva per lungo tempo costituito un’intangibile fede.

Percepivo, in quei momenti, lo spasimo della sua coscienza: si sentiva colpevole e, nello stesso tempo, affermava di aver fatto il suo dovere, sentendosi in dovere di trasmettere al figlio dei princìpi che aveva ritenuto sacri , che si sforzava a tutti i costi  di ritenere ancora tali nonostante le delusioni subite. Ma la sua voce tradiva quella delusione profonda che da molto tempo ormai l’aveva attanagliato, trasformandosi quasi in disperazione.

L’episodio più tragico che mi aveva narrato era avvenuto in seguito alla cattura di un prigioniero russo. Mio padre come ufficiale comandava un piccolo drappello. Una sera gli fu portato davanti un prigioniero, un ragazzo catturato nei dintorni. Mio padre provò a fargli delle domande con quelle poche parole di russo che conosceva. Il ragazzo non rispose. La giacca della sua divisa era aperta sotto il collo. Mio padre notò qualcosa di bianco e lucido: pensò si trattasse di quella borsa termica che molti soldati sovietici portavano sul petto sotto la divisa. Pensando che quel soldato sarebbe stato rinchiuso e che a lui invece avrebbe potuto servire, mio padre fece il gesto di afferrarla per portarla via. Ma la borsa termica non c’era: il petto nudo del ragazzo era bianco per il terrore.

Era sera inoltrata. Mio padre non sapeva cosa fare. Si rivolse ai due Carabinieri che tenevano stretto il ragazzo e disse loro che glielo affidava, ritenendo che l’avrebbero rinchiuso da qualche parte. Poi andò a dormire nel suo alloggio al pianterreno di una casa. Il mattino seguente vide dai vetri di una finestra che aveva nevicato durante la notte. Si preparò, indossò la divisa e uscì. Non appena aperta la porta, il suo piede urtò contro qualcosa che giaceva davanti. Si chinò e vide il cadavere dagli occhi sbarrati del giovane soldato che solo la neve sembrava aver risparmiato.

Una volta stava narrando lo svolgimento di una battaglia, al termine della quale erano stati fatti molti prigionieri. Chiesi come erano stati trattati. Mio padre mi rispose che quello scontro era avvenuto durante la ritirata e che, di conseguenza, non era possibile portare via i prigionieri, né lasciarseli, sia pure legati, alle spalle. Chiesi allora che cosa ne avessero fatto. Vidi il volto di mio padre turbarsi profondamente, scosse il capo, disse che non se la sentiva di ricordare. Insistetti. Lentamente, con voce debole, affaticata, disse che, a causa anche della scarsezza di munizioni, i prigionieri, accovacciati al suolo, erano stati sgozzati con le baionette, dopo averli afferrati per i capelli.

Mentre cresceva il mio odio per i sacri idoli venerati dalla generazione di mio padre e anche da quella in mezzo alla quale mi trovavo a vivere, provavo una sempre maggiore compassione per un padre i cui ideali erano così tragicamente crollati, ma ai quali si sforzava ancora di aggrapparsi.

Di fronte ai tanti orrori della guerra e al costante pericolo di perdere la vita, a mio padre solo una fede gli era ancora rimasta, quella religiosa. Una mattina lo udii uscire di casa molto presto, quasi prima dell’alba. Non era quella l’ora di recarsi in ufficio, chiesi a mia madre dove mio padre stesse andando. Mia madre mi rispose che stava recandosi alla prima Messa per prendere la comunione, poiché durante la ritirata di Russia in quell’ora e in quel giorno aveva fatto un voto alla Madonna di comunicarsi per tutto il resto della sua vita in quella stessa ora e in quello stesso giorno se si fosse salvato.

Giuseppe Vigilante

 


NOTE:

Il Maggiore Attilio AIELLI, (da Ascoli - Piceno), Comandante del III Battaglione del 278°Reggimento viene ufficialmente dato per disperso il 17.1.43 in località non nota durante la marcia verso Podgornoje – Подгорное, il Maggiore. Italo LEONI (da Milano) gli subentra al comando del Battaglione rientrando vivo dopo la Ritirata sebbene congelato e molto provato.

Il Capitano Achille MANDELLI (da Milano) Comandante della 12ªCompagniadel III/278° ed il Capitano Ferruccio BRAMBILLA (da Cisano Bergamasco – BG) Comandante 11ª Compagnia del III/278°,Ufficiale di collegamento con le truppe romene, sono rientrati vivi dalla ritirata.

Il Tenente Vittorio BRESSAN(da Trieste)Comandante della Compagnia Comando del III Battaglione del 278°,risulta rientrato vivo dalla ritirata.

Il Tenente Eugenio AMOROSO ed il Sottotenente Ippolito FURIA anch’essi del III Battaglione del 278°risultano rientrati vivi dalla ritirata.

156° Divisione Vicenza

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156° Divisione Fanteria Vicenza